Ci sentiamo caccole perché
non sappiamo come vivere.
Come se esistesse un COME.
Ci rifiutiamo di ascoltare
noi stessi perché non ci riteniamo attendibili.
Come se gli altri, al
contrario, lo fossero.
Non sappiamo trovare un senso
al nostro vivere e al nostro morire,
ma ci distrugge constatare
che l’erba del nostro vicino è più verde della nostra.
Perché il colore dell’erba
dovrebbe avere un senso in un mondo che non ne ha?
Siamo tutti naufraghi su
un’isola che non conosciamo e non sentiamo nostra.
Abbiamo perso il ricordo di
ciò che eravamo prima di approdare qui.
La nostra solitudine è uguale
a quella di altri sette miliardi di esseri umani.
Non c’è nulla di più
terrificante di questo.
Eppure, ciò che veramente ci
spaventa, è l’erba più verde del vicino.
E’ l’opinione degli altri.
E’ la vita degli altri.
Siamo convinti che gli altri
sappiano qualcosa che noi non siamo riusciti a imparare.
E’ per questo che gli altri
sanno come cavarsela e noi no.
Se vivessimo soli in un bosco,
sapremmo cavarcela. Oppure no.
Non ha importanza se gli
altri, in altri boschi, sanno se ce la siamo cavata o no.
Ha importanza, solo per noi
stessi, sapere se ce la siamo cavata oppure no?
No.
Nessuna importanza.
Non c’è nessuna gara. Neppure
con noi stessi.
E’ l’istinto di sopravvivenza
che ci spinge a confrontarci con noi stessi e poi con gli altri.
A cercare di essere migliori,
a combatterli, a sopraffarli per non essere sopraffatti.
Se davvero siamo stati creati
così, solo un'entità maligna può averlo fatto.
E l’istinto di sopravvivenza
che ci ha inoculato è la ciliegina sulla torta
di quel capolavoro di sadica
crudeltà che è la vita dell’uomo.
Se un Dio ha davvero cercato
di salvarci insegnandoci l’amore,
non può essere lo stesso Dio
che ci ha fatti così male.
A meno che non stia riparando
a un errore.
A meno che Dio non sia altro
che il Diavolo pentito.
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