E se il suicidio
non fosse la conseguenza di un disturbo? Se il suicidio fosse, molto più semplicemente,
un atto di umanità, una manifestazione estrema del carattere della vita umana? Se
anziché ricercarne la causa lo si considerasse come una possibilità
fondamentale dell’esistenza, che trova la sua ‘ragione” proprio nell’essenza della
vita? In apparenza, c’è sempre un motivo preciso che spinge a uccidersi. Ci si
uccide dopo che la persona amata è morta, per la fine di una relazione, a causa
della scoperta di una malattia incurabile, in seguito ad un fallimento
finanziario, dopo aver commesso un delitto… Il suicidio può avere mille motivi,
ma in ogni caso – ed è quel che conta, per chi non ne vuol sentir parlare –
ogni suicidio ne ha uno ben preciso, individuabile. E conoscerlo è importante,
perché è confortante, è rassicurante. Perché solo così è possibile
neutralizzare quell’insopportabile sensazione che qualcosa, nell’ordine delle
cose, sia venuto a mancare. È una forma di scongiuro, una specie di esorcismo.
Un modo per assicurare a se stessi che il suicida, dopo tutto, ha torto; un
espediente per confermarsi, per ribadire la giustezza della vita che si
conduce, insomma per concludere ancora una volta che c’è una ragione per
vivere. Anzi, che c’è una ragione in virtù della quale si deve vivere, ed è una colpa o un peccato
rifiutarsi di farlo. Si condanna il suicidio soltanto per rassicurare se stessi
contro la possibilità di compierlo.
Per poter commentare effettua il login con Facebook
SCRIVI UN COMMENTO