LA RIVOLUZIONE DI GIUDA 1


Era il 15 del mese di Thisri, la sera della festa dei Tabernacoli, nel settimo anno del governo di Ponzio Pilato a Gerusalemme.

La città formicolava di forestieri accorsi da tutti gli angoli della Giudea e della Galilea.

La raccolta dell'uva era stata abbondante.

La si ammucchiava sul ponte Xistus per portare l'offerta a Iehovah.

Ognuno s'affrettava poiché il sole segnava l'ora quinta e ben presto il corno di montone avrebbe suonato sulle terrazze del tempio per annunciare che il sabato stava cominciando.

Una circostanza straordinaria aveva aumentato l’affluenza degli stranieri. La moglie del procuratore arrivava da Roma. Il governatore della Siria, Pomponius Flaccus, aveva lasciato Antiochia, ed era venuto a Ioppa incontro alla nipote di Tiberio. Pilato aveva ordinato che si preparassero delle feste al Circo in onore di Claudia sua moglie, e del governatore.

La città di Gerusalemme aveva inviato a Ioppa una delegazione al fine di accompagnare la nobile Romana. Pilato, che doveva andarvi coi membri dell'aristocrazia e del sacerdozio Ebreo, all'ultimo momento si ammalò e li aveva lasciati partir soli.

Ciò dava da parlare al popolo. A me ed al Sagan da riflettere. In conseguenza di ciò il solo punto di Gerusalemme che fosse nel silenzio e nella tranquillità, erano il Monte Sion, con le sue tre torri ed il palazzo di Erode steso ai loro piedi.

Eppure i viaggiatori arrivavano all'indomani!

In una camera al secondo piano del palazzo di Hannah quattro persone si trovavano riunite: Hannah ed io, sadducei; Moab, esseniano; Menahem, l'ultimo dei figli di Giuda e di Gamala. Attendevamo Jesu Bar Abbas, erodiano, e Justus, il fratello della moglie di Gamaliele, fariseo, figlio di Simeone il rettore del Gran Collegio, figlio egli stesso del famoso Hillel.

Nessuno di noi parlava.

Hannah, fingendo di meditare, sonnecchiava.

Moab, fingendo di pregare, rannicchiato in un angolo digeriva non so quale disgustoso intingolo di cavallette che aveva inghiottito qualche ora prima e che faceva passare sopra la sua faccia tutti i colori dell'arcobaleno.

Menahem calmava la sua impazienza di andare a vedere le donne di Sion alla fontana di Ezechiele, passeggiando pesantemente sopra i quadrelli di granito della sala del Sagan, come se avesse camminato sui sentieri dei cammelli della Galilea e faceva svegliare di soprassalto, di tanto in tanto, l'ex-gran sacerdote.

In quanto a me, io era in piedi, vicino ad una finestra che si affacciava sul tempio, guardando il sole che tramontava e pensavo a Maria.

Eppure, noi ci eravamo riuniti là per una ragione terribile.

Ma l'uomo non è mai così spensierato come negli istanti in cui il suo destino è in bilico sopra ad un abisso. Era colpa mia? Il cielo era così azzurro! Il Golgota e il monte degli Ulivi si pavoneggiavano nel loro mantello violetto della sera. 

Il popolo rideva così forte dalla strada! Gli uccelli cantavano dolcemente nel cielo! Il vento autunnale, ancora  caldo, accarezzava con tanta grazia il dattero, il sicomoro, l'arancio, l'aloe, l'ulivo, il velo delle donne, le bianche nuvolette — che non dovevano esser altro che le ali dei cherubini di Dio, — che mi sembrava impossibile di levare lo sguardo da quella festa serena e raggiante, per seppellirlo nel sangue.

 (continua)