Credono che la felicità sia raggiungere la
vetta, ma quando sono in cima alla montagna, si rendono conto che non possono
fare altro che scendere e ritornare da dove sono partiti.
Dicono che l’importante è il viaggio e non
la meta, ma gli scalatori durante il viaggio non si divertono. Faticano e
rischiano la morte perché credono che all’arrivo ci sia la felicità.
Se la felicità, per loro, è questa,
certamente la raggiungono, se arrivano in vetta. Dura qualche secondo ed è
costata ore se non giorni di fatica sovrumana.
Qualcuno, al contrario, è scivolato ed è
rotolato giù, fino in fondo e, per sua fortuna, è sopravvissuto. Ora è al
sicuro, perché sa che, toccato il fondo, non rischia più di precipitare. Ed è
felice. Ogni volta che ci pensa è pervaso dalla felicità. Osserva gli sguardi
spiritati di chi si prepara a partire per una nuova scalata. Di chi è bramoso
di raggiungere la felicità sulla vetta. Allora si stende sul prato del
fondovalle pianeggiante e si rotola a destra e a sinistra, guardando il cielo
dal punto più basso. Chi raggiungerà la vetta della montagna e ritornerà a
valle, la vorrà scalare altre mille volte, in preda alla sindrome di Sisifo.
Chi ha fallito l’impresa, anziché disperarsi, si crogiolerà a valle se capirà che
la felicità non è né la salita, né la vetta. La felicità sta dove nessuno la
cerca, tra i fili d’erba della valle. Gli altri la chiameranno sconfitta,
desistenza, arrendevolezza. Anche vigliaccheria e paura di affrontare le sfide
della vita. Chi ha fallito non si sentirà un
fallito se smetterà di cercare. Se non trovi una cosa e smetti di cercarla
è come se l’avessi trovata.
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