Menocchio era un contadino
autodidatta che sapeva leggere, scrivere e far di conto, aveva letto
qualche libro di teologia, frequentava la chiesa locale e amava
discutere col parroco e i suoi concittadini su argomenti
religiosi. Ma sembra che i rapporti col parroco Odone Vorai si
deteriorassero, perché Menocchio rifiutò la richiesta del prete
di poter approfittare delle sue figlie. Il parroco denunciò in modo
anonimo per eresia il contadino al Sant’Uffizio. Incarcerato
dall’Inquisizione, Menocchio subì un primo processo nel 1584. Durante il
processo il mugnaio espose la sua singolare concezione cosmologica:
inizialmente “tutto era un caos, cioè terra, aere, acqua et foco insieme;
et quel volume, andando così, fece una massa, aponto come si fa il formazo nel
latte , et in quel diventorno vermi , et quelli furno li angeli …
et tra quel numero de angeli ve era anco Dio, creato anchora lui da
quella massa in quel medesmo tempo ; et fu fatto signor con quattro capitani ,
Lucivello , Michael, Gabriel et Rafael. Qual Lucibello volse farsi signor alla
comparation del re, che era la maestà de Dio, et per la sua superbia Iddio
commandò che fusse scaciato dal cielo con tutto il suo ordine. Dio fece poi
Adamo et Eva, et il popolo in gran multitudine per impir quelle sedie delli
angeli scacciati. La qual multitudine, non facendo li commandamenti de
Dio, mandò il suo figliol, il quale li Giudei lo presero, et fu crucifisso”. Su
Gesù precisò “era uno delli figlioli de Dio, perché tutti semo fioli de
Dio et di quella istessa natura che fu quel crucifisso; et era homo come nui
altri, ma di maggior dignità, come sarebbe dir adesso il papa, il quale è homo
come nui, ma di più dignità de nui perché può far; et questo che fu crucifisso
nacque de S. Iseppo et de Maria vergine”. Ma era dubbioso sulla verginità
della Madonna, perchè “tanti huomini sono nati al mondo et niuno è nato di
donna vergine”.
Nelle dichiarazioni del Menocchio
si scorgono anche rivendicazioni sociali e riflessioni critiche sul ruolo della
chiesa: la lingua latina usata dagli ecclesiastici è “un tradimento de’ poveri
perché li pover’homini non sanno quello che si dice e se vogliono dir quatro
parole bisogna haver un avocato”. Il papa, cardinali e vescovi sfruttano i
poveri perché “tutto è de Chiesa et preti”. Gli stessi sacramenti sono
considerati dal Menocchio come una invenzione ecclesiastica: “quel batezar è
un’inventione et li preti comenzano a magnar le anime avanti che si nasca, et
le magnano continuamente sino doppo morte”.
Menocchio fu giudicato dal
tribunale dell’inquisizione come eretico ed eresiarca e condannato al “carcere
perpetuo”, le spese della reclusione furono addebitate alla famiglia del
condannato: la moglie e sette figli. Inoltre lo Scandella fu obbligato a
leggere pubblicamente l’abiura e ad indossare un abito
penitenziale grigio con una croce gialla davanti e l’altra
dietro, da portare a vita. Ma dopo circa 20 mesi di reclusione il figlio
di Menocchio, Ziannuto Scandella presentò una lettera alle autorità
ecclesiastiche in cui le suppicava di liberare il padre, sia per le cattive
condizioni di salute del condannato, sia per le precarie condizioni economiche
in cui si trovava la famiglia. Gli inquisitori ascoltarono la supplica e
liberarono Menocchio.
Lo Scandella tornò alla sua
comunità, al suo lavoro presso il mulino, ma gli pesava portare l’abito degli
eretici e non riusciva a tacere le proprie intime convinzioni. Il 7 marzo del
1596 un suonatore di sagra denunciò all’inquisizione Menocchio per avergli
sentito dire durante il carnevale che non credeva nella Bibbia che era stata
scritta da preti e frati. Menocchio fu arrestato nuovamente nel giugno del 1599
ed essendo “relapso”, recidivo, rischiava la pena capitale. Questa volta
l’inquisizione non ebbe alcun indulgenza verso il vecchio mugnaio, anche
perché alcuni cardinali da Roma richiesero il fascicolo processuale
e una linea dura per un caso ritenuto “gravissimo”. Menocchio fu
torturato e condannato a morte. Nell’agosto del 1600, lo stesso anno
del rogo di Bruno, il vecchio mugnaio fu prima decapitato e poi bruciato a
Pordenone.
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