Nel diciassettesimo secolo, molti ebrei
credettero che fosse finalmente giunto il vero Messia. Il suo nome era Sabbatai
Zevi. Ripercorrendo le gesta di Gesù, vagava per la Terra Santa, contestando e
insultando le autorità religiose ebraiche. Per questo motivo fu più volte
espulso dalle città in cui predicava e ciò accrebbe la sua fama presso coloro
che, in Europa, credevano in lui.
Molti ricchi ebrei vendettero i loro averi
e abbandonarono le loro attività commerciali per trasferirsi in Oriente e unirsi
ai suoi discepoli. Come ai tempi di Gesù, i rabbini denunciarono alle autorità
del tempo, che nel frattempo non erano più i Romani ma gli Ottomani, questo
scomodo provocatore. Questa volta, però non ci fu una nuova Passione.
Sabbatai Zevi fu imprigionato e posto
davanti a una scelta: il martirio o la conversione. Il sedicente Messia preferì
vivere e si convertì all’Islam.
Questo non turbò i suoi seguaci. Essi
pensarono che fosse il Disegno di Dio a prevedere questa svolta e si
convertirono anche loro.
Ora iniziano le domande:
Perché sentiamo il bisogno di aspettare
l’arrivo di un Messia?
Perché desideriamo che qualcuno ci venga a
salvare?
Da cosa ci deve salvare?
Perché aspettiamo che arrivi dall’alto dei Cieli? Perché non è già
qui tra noi?
Perché abbiamo bisogno di seguire
acriticamente i suoi passi? Di ubbidirgli ciecamente senza farci domande?
Perché abbiamo bisogno di un capo che ci
indichi la strada da seguire e, soprattutto, sentiamo la necessità di avere la
sicurezza che quella strada sia quella giusta, qualunque essa sia?
Forse perché non siamo di questo mondo e
speriamo che qualcuno rimasto là, da dove veniamo, ritorni a salvarci. Forse
perché consideriamo questo libero arbitrio, che ci siamo ritrovati senza
volerlo, una crudeltà e non un dono.
La coscienza ci costringe a fare delle scelte sulla nostra vita, senza conoscere nulla di essa.
Dovendo procedere al buio, preferiamo affidarci ciecamente a una mano, una qualsiasi, che ci guidi e che ci assicuri di conoscere la strada. Non importa se questo sia vero o no. L’importante è che ci esimi dal fatto di dover procedere a tentoni. Se poi la nostra guida ci porterà a sbattere contro un muro, potremo consolarci pensando che non è stato un nostro errore, ma che è così che doveva andare. Convincersi che il destino non lo creiamo noi, ma è ineluttabile e indipendente dalla nostra mente confusa, ci permette un’esistenza avvolta in una malinconica ma impagabile serenità.
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